Merope, Venezia, Rossetti, 1711

 ATTO PRIMO
 
 Piazza di Messene con trono. Grand’ara nel mezzo con la statua d’Ercole coronata di pioppo. Tempio chiuso in lontananza. Tutta la scena è adornata di corone e di rami di pioppo, pianta consacrata ad Ercole.
 
 SCENA PRIMA
 
 EPITIDE
 
 EPITIDE
 Questa è Messene. Il patrio cielo è questo
 de l’infelice Epitide. Cresfonte,
 mio illustre genitor, qui diede leggi.
 Qui nacqui re. Questa è mia reggia; e questi
5famosi abitatori,
 questi fertili campi a me son servi.
 O memorie, o grandezze
 mal ricordate e mal vantate! Errante,
 misero, solo, inerme io vi rivedo;
10e di tanti vassalli
 un sol non v’è che re mi onori, un solo
 che pur mi riconosca, un sol che dia
 almeno un pianto a la miseria mia. (Si volta verso la statua di Ercole)
 
    Padre e nume, Alcide invitto,
15se gli umili onesti voti
 d’un tuo germe a te son cari,
 tu ben sai di qual delitto
 son macchiati i patri lari.
 
    Punitor di chi mi ha tolto
20e fratelli e padre e regno,
 qui mi tragge ardire e spene.
 Ma l’idea del gran disegno
 da te scende e in me sen viene.
 
 SCENA II
 
 TRASIMEDE e coro di messeni che portano in mano rami e corone di pioppo e, cingendo in ordinanza il trono e la statua, si prostrano in atto d’offerire i loro rami e le loro corone. EPITIDE in disparte
 
 CORO
 
    Su su, messeni,
25sospiri e prieghi.
 
 EPITIDE
 Quai genti son coteste? E con qual rito
 cingono il regal seggio e ’l sacro altare?
 TRASIMEDE
 
    Sperar ci giova
 che il cielo irato
30alfin placato
 per noi si pieghi.
 
 EPITIDE
 Signor che al ricco ammanto, al nobil volto
 ben mostri eccelso grado e cor gentile,
 ond’è che per Messene
35suonan gemiti e strida? Ond’è che in atto
 di supplici e dolenti offron costoro
 que’ verdi rami? E al cielo
 fumo d’incensi e di sospiri ascende?
 TRASIMEDE
 Garzon che il quarto lustro
40non compi ancor, se mal non credo al guardo,
 qual sei, dimmi, onde vieni? A che sì strane
 spoglie vestir? Le dilicate membra
 perché d’ispida pelle
 e la tenera man perché si aggrava
45di quel tronco nodoso?
 EPITIDE
 Tal è la sorte mia che non mi lice
 farne parte ad altrui, fuor che al re vostro.
 TRASIMEDE
 Il re dal tempio, ove adempiti egli abbia
 i sacrifizi e i voti,
50qui verrà in breve. Or ti compiaccio.
 EPITIDE
                                                                    Ascolto.
 TRASIMEDE
 Undici volte oggi rinato è l’anno,
 da che ucciso fu ’l nostro
 buon re Cresfonte e due
 pargoletti suoi figli.
 EPITIDE
                                       Il caso acerbo
55tutta d’orrore empié la Grecia e d’ira;
 ma de l’autor non è ben certo il grido.
 TRASIMEDE
 Anassandro egli fu.
 EPITIDE
                                      Costui m’è ignoto.
 TRASIMEDE
 De la regina Merope era servo.
 EPITIDE
 Può cader tal delitto in moglie e madre?
 TRASIMEDE
60Per la credula plebe
 fama rea se ne sparse;
 ma il suo dolor, la sua virtù, nel core
 di chi meglio ragiona, assai l’assolve.
 EPITIDE
 Perché da l’uccisor non trarne il vero?
 TRASIMEDE
65L’ombre il tolsero al guardo e a la sua pena;
 né di lui più s’intese.
 EPITIDE
                                         Altro germoglio
 sopravisse a Cresfonte?
 TRASIMEDE
 In Epitide vive
 degli Eraclidi il sangue e la speranza
70de l’afflitta Messenia.
 EPITIDE
 Come a lui perdonò l’empio omicida?
 TRASIMEDE
 L’esser lungi in Etolia,
 ostaggio al re Tideo, fu sua salvezza.
 EPITIDE
 Perché al vedovo trono
75non si chiamò l’erede?
 TRASIMEDE
 La sua tenera etade
 ne fu cagione e più ’l timor che anche esso
 di ferro e di velen restasse ucciso.
 EPITIDE
 Ma de’ pubblici affari il grave peso
80cui si affidò?
 TRASIMEDE
                           Divise
 Merope e Polifonte i nostri voti.
 A lei nocque il sinistro
 sparso rumor del parricidio. Eletto
 Polifonte rimase,
85degli Eraclidi anch’egli uom saggio e prode.
 EPITIDE
 (Sembianza di virtù spesso ha la frode).
 Né si pensò che un giorno
 richiamar si doveva il regal figlio?
 TRASIMEDE
 Sul crin di Polifonte è la corona
90un deposito sacro.
 A l’erede ei la serba.
 EPITIDE
 Tanto modesta in Polifonte è l’alma?
 TRASIMEDE
 Gode Messenia in lui quel re che ha pianto.
 EPITIDE
 Di che dunque si lagna ella che il gode?
 TRASIMEDE
95Sente de l’altrui fallo in sé la pena.
 EPITIDE
 Per qual destin?
 TRASIMEDE
                                 Distrutti
 da feroce cinghial sono i suoi campi.
 EPITIDE
 E ’l messenio valor teme un sol mostro?
 TRASIMEDE
 Che può mai contra i numi il valor nostro?
100Più volte armate schiere
 dissipò il fiero dente. Altra speranza
 non ci riman che il cielo. A lui ricorso
 fanno i pubblici voti.
 EPITIDE
 Sinché...
 TRASIMEDE
                   Già s’apre il tempio. (S’apre la gran porta del tempio)
 
105   Il re, messeni, il re.
 A l’armi pronti, a l’armi
 vi tenga amore e fé. (Trasimede entra nel tempio incontro a Polifonte)
 
 EPITIDE
 Ne la gran turba io mi nascondo. Intanto
 penso a gran cose e generoso e forte.
110Epitide, ecco il giorno. O regno o morte.
 
 SCENA III
 
 POLIFONTE e TRASIMEDE uscendo dal tempio con seguito. EPITIDE in disparte. Polifonte va a sedere sul trono
 
 POLIFONTE
 Stanco, popoli, è ’l cielo
 de le lagrime nostre.
 Le vittime ei gradì. Lieti ne diede
 la vampa i segni e fausti
115l’esaminate viscere gli auspici.
 Che più? Placato il nume,
 chiaro parlò! Tu del voler celeste
 leggi qui, Trasimede, il gran rescritto;
 ed intanto respiri
120dal passato spavento un regno afflitto. (Porge a Trasimede la risposta dell’oracolo e Trasimede legge)
 TRASIMEDE
 «Ha Messenia due mostri. Oggi ambo estinti
 cadranno, un per virtude, un per furore;
 restino poscia in sacro nodo avvinti
 l’illustre schiava e ’l pio liberatore».
 POLIFONTE
125Udiste? Or chi ne l’alma
 nutre spirti guerrieri e chi nel braccio
 tiene valor, vada, combatta e vinca.
 La sua virtù rinforzi
 con la voce del nume e col sicuro
130piacer di un premio illustre.
 Che se pur tra’ messeni
 non v’è core sì forte, alma sì ardita,
 v’è Polifonte. Egli esporrà per voi, (Si leva in piedi)
 non re ma cittadino, e sangue e vita. (E discende dal trono)
 EPITIDE
135Ne la sua vita espor non dee chi regna (Epitide si avanza)
 la salvezza comun. L’orride belve
 affronti anima forte,
 non regal braccio; e se a Messenia ardire
 manca e virtude, io, sire,
140giovane qual mi vedi, inerme e solo,
 tanto osar posso. Imponi
 ch’io là sia tratto, ove si pasce il fiero
 cinghial di mille stragi.
 L’abbatterò, non primo
145trofeo de la mia destra.
 E se cadrò, Messenia
 mi darà lode; e fia
 ch’ella di pochi fiori
 a me sparga la tomba e l’ossa onori.
 POLIFONTE
150Giovane, o sia che troppo
 di te presumi o che gli dei tu siegua
 già impietositi, ai vili
 fia stupore il tuo esempio, invidia ai forti.
 Molto a te dee Messenia,
155nulla tu a lei. Straniero
 ai panni, al volto, al favellar tu sembri.
 EPITIDE
 Etolia, Argo, Micene e quanto è Grecia,
 tutto è patria a chi è greco. Io greco sono;
 né per lieve cagion qui trassi il piede.
160Più dir non posso. Alora
 che dal cimento io vincitor ritorni,
 saprai qual sia, perché ne venga e donde.
 POLIFONTE
 Custodi, olà, si scorti
 questo prode in Itome. Ivi, se al vanto
165risponde l’opra, è tuo il trionfo e tuo
 il premio ne sarà.
 EPITIDE
                                   Premio non cerco.
 Cerco un popolo salvo; e meco porto
 le speranze d’un regno.
 TRASIMEDE
                                             Un dì tal vide
 forse la Grecia il giovanetto Alcide.
 EPITIDE
 
170   Furie superbe
 di mostro orrendo,
 vi abbatterò.
 
    E andar mordendo
 i sassi e l’erbe
175vi mirerò. (Parte con due guardie di Polifonte)
 
 SCENA IV
 
 POLIFONTE e TRASIMEDE
 
 POLIFONTE
 Ver noi, se non m’inganno,
 parmi venir Licisco.
 TRASIMEDE
                                        È desso appunto.
 Nunzio del re Tideo più volte il vide
 la nostra reggia.
 POLIFONTE
                                Io qui l’attendo. Intanto
180tu mi precedi a la regina; e dille
 che il dì prefisso è giunto
 di nostre nozze. Ella al mio amor dieci anni
 di sofferenza impose.
 La compiacqui e soffersi. Oggi pur compie
185la dura legge. A l’imeneo promesso
 oggi ella accenda le giurate faci.
 TRASIMEDE
 Ubbidirò. (Pena mio core e taci).
 
 SCENA V
 
 POLIFONTE e LICISCO con seguito di etoli
 
 POLIFONTE
 Custodite il re vostro. (Alle guardie)
 LICISCO
 Re Polifonte, al cui voler sovrano
190di Messenia ubbidisce il nobil regno,
 il re Tideo, che glorioso impera
 su l’Etolia possente,
 m’invia suo nunzio. Ecco la carta ed ecco
 la tessera ospitale e ’l noto segno. (Presenta a Polifonte le lettere credenziali)
195Egli si duol che, contra il dritto e i patti
 di scambievole pace,
 tu rapir gli abbia fatto Argia sua figlia.
 La grave offesa è d’alta piaga impressa
 in cor di re e di padre. Al suo dolore
200diasi compenso. O gli si renda Argia
 o coprirà de la Messenia i campi
 d’armati e d’armi; e pagheran la pena
 d’un atto ingiusto i popoli innocenti.
 Tanto espone il mio re. Qual più ti piace
205scegli, amico o nemico, o guerra o pace.
 POLIFONTE
 Licisco, in brevi note ecco i miei sensi.
 Vendicar si doveva
 con la forza la forza.
 Da l’etolico re perché si niega
210Epitide al suo regno?
 Egli cel renda e noi daremo Argia.
 LICISCO
 Non è più in suo poter ciò che gli chiedi.
 POLIFONTE
 Vani pretesti. Il re Tideo, se pensa
 o farci inganno o intimorirci, egli erra.
215Scelga qual più gli aggrada, o pace o guerra.
 LICISCO
 Come, o dio! Qui non giunse
 l’infausto avviso? E come
 ciò ch’a tutta la Grecia è già palese
 in Messenia si tace?
 POLIFONTE
                                        E che?
 LICISCO
                                                       La morte
220de l’infelice Epitide.
 POLIFONTE
                                        Che narri?
 Morto? Ma dove? E come?
 LICISCO
 Ne la Focide appunto,
 colà dove il sentiero in due diviso
 parte a Dauli conduce e parte a Delfo.
 POLIFONTE
225Stelle! E chi mai versò sangue sì illustre?
 LICISCO
 Vario ne corre il grido;
 e al nostro re, da grave doglia oppresso,
 mesto ne giunse e replicato il messo.
 POLIFONTE
 Cieli! Avete più fulmini? Volete
230altro pianto, altro sangue? Eccovi il mio.
 O stirpe degli Eraclidi infelice!
 Misero regno! Prence sfortunato!
 (Ma s’Epitide è morto, io son beato).
 LICISCO
 Giusto dolor.
 POLIFONTE
                           Sino a più certo avviso
235tacciasi il fiero caso; e la mia reggia
 sia tua dimora.
 LICISCO
                               Intanto
 che risolvi d’Argia?
 POLIFONTE
 
    Non ascolto che furori;
 non rispondo che vendette.
240(Fingo dolore e sdegno e lieto io sono).
 
    Al tradito, a l’innocente,
 degl’infami traditori
 cruda strage un re promette.
 (Oggi ho sicuro il regno e fermo il trono).
 
 SCENA VI
 
 LICISCO
 
 LICISCO
245Non si lasci sedur candida fede
 da un dolor menzognero o almen sospetto.
 Merope, Polifonte,
 tutto si tema. Epitide si salvi
 con la frode innocente e giunga al regno.
250Ma come ancor qui nol riveggo? Ei pure
 mi precedé. Qual fato
 lo ritarda a Messene e a’ voti miei?
 L’alma real voi proteggete, o dei.
 
    Se ognor con la virtù si unisse il fato,
255un innocente cor
 saria senza timor
 sempre beato.
 
    Ma che? L’empio sovente
 opprime l’innocente;
260e con orgoglio il fa
 falsa felicità
 più scellerato.
 
 Stanze di Polifonte in villa con porta segreta.
 
 SCENA VII
 
 MEROPE
 
 MEROPE
 Ecco pur giunto il giorno
 che dir poss’io di mia sciagura estrema.
265Era poco, o fortuna, avermi tolto
 il regno non dirò, ma sposo e figli,
 da man crudel barbaramente uccisi.
 Era poco in esiglio
 tenermi il caro Epitide, in cui solo
270consolarmi potessi. Era anche poco
 pubblicarmi a Messenia
 moglie iniqua, empia madre e del mio sesso,
 anzi del mondo, il più esecrabil mostro.
 Di Polifonte al letto
275vuoi ch’io passi e ’l consenta. Il decim’anno
 giurato a le mie nozze oggi si compie.
 O giorno! O legge! O giuramento! O nozze!
 O Polifonte! O troppo avversi dei!
 O troppo acerbi mali
280che per dirvi spietati io dirò miei.
 
    Vedrassi nel suo nido
 la casta tortorella
 amar quel serpe infido
 che già l’avvelenò;
285ma ch’io prometta amor
 al mio tiranno, no,
 non si vedrà.
 
    Talor mostrar potrà
 lo sdegno suo placato
290a lui che dispietato
 i figli a lei rapì;
 ma pace dal mio cor
 l’empio, che mi tradì,
 mai non avrà.
 
 SCENA VIII
 
 TRASIMEDE e MEROPE
 
 TRASIMEDE
295Con qual senso, o regina,
 di comando fatal nunzio a te venga,
 lo sa il ciel, lo sa l’alma (e amor sel vede).
 MEROPE
 E nunzio di sponsali e di grandezze
 vieni sì mesto? Eh! Più sereno in volto,
300dimmi regina e sposa.
 Precedimi più lieto
 al soglio antico, a le novelle tede.
 Già le attende la Grecia e un re le chiede.
 TRASIMEDE
 Le chiede un re ma pria da te promesse,
305volute non dirò, che ben più volte
 lessi ne’ tuoi begli occhi,
 contro di Polifonte, odio e disprezzo.
 MEROPE
 E quest’odio a la tomba
 mi sarà scorta. Io sposerò il tiranno,
310per poi svenarlo in alto sonno oppresso;
 indi col ferro istesso,
 fumante ancor de l’odioso sangue,
 su le vedove piume io cadrò esangue.
 TRASIMEDE
 Tolgan gli dei sì barbaro disegno.
 MEROPE
315No no, compiasi l’opra.
 Sperai qualche rimedio
 dal tempo o da la morte.
 Quel mi tradì; mi riman questa; e questa
 non può mancarmi. Merope una volta
320o forte o disperata
 finisca di morir ma vendicata.
 TRASIMEDE
 Regina, era mia pena, e pena atroce,
 il pensarti altrui sposa;
 ma se a l’aspra sciagura altro rimedio
325non ti riman che morte,
 vattene. Polifonte
 ti accolga fortunato e seco regna.
 MEROPE
 Regnar con Polifonte? E Trasimede
 mi consiglia così? Questa è la fede
330tante volte giurata?
 TRASIMEDE
                                      Ahi! Che far posso?
 MEROPE
 Se m’hai pietà, se la memoria illustre
 de buon re nostro ucciso ancor ti è cara,
 su l’orme di Anassandro
 
 antri romiti e foschi,
335ciechi e solinghi boschi,
 monti, valli, dirupi,
 
 tutto, tutto ricerca; e quell’infame
 si arresti, s’incateni, a me si guidi.
 Quest’è il sol mio rimedio. A te lo chiedo.
340Vanne e tua gloria sia
 e la mia vita e l’innocenza mia.
 TRASIMEDE
 
    Quanto può zelo e fé,
 tutto farà per te
 l’alma fedele.
 
345   Se ingiusto il ciel non è,
 trarti legato al piè
 spero il crudele.
 
 SCENA IX
 
 MEROPE e ARGIA
 
 MEROPE
 Voi che sapete, o dei, la mia innocenza,
 reggete i passi suoi.
 ARGIA
350Non più sola, o regina,
 andrai costretta a le giurate nozze.
 Gli dei de la Messenia
 voglion le mie.
 MEROPE
                              Qual fia lo sposo?
 ARGIA
                                                                Al prode
 uccisor del rio mostro
355il decreto del ciel mi vuol consorte.
 MEROPE
 Fausto sarà ciò che comanda il nume.
 ARGIA
 Il nume o mal s’intende
 o ubbidito mal fia.
 Né consorte d’Argia
360altri sarà che Epitide né punto
 a me cal la Messenia, onde il mio amore
 sacrificar le debba e ’l mio riposo.
 
 SCENA X
 
 POLIFONTE e suddetti
 
 POLIFONTE
 Dato dal ciel ricuserai lo sposo?
 ARGIA
 Il mio sposo è già scelto. Amor v’applaude;
365il genitor lo approva e Argia l’adora.
 POLIFONTE
 Ma tel contrasta il fato.
 ARGIA
                                            E chi l’intende?
 POLIFONTE
 Chiaro ei parlò.
 ARGIA
                                L’umano intendimento,
 dove il ciel parli, è tenebroso e cieco.
 POLIFONTE
 Più cieco egli è dove l’appanni amore.
 MEROPE
370Pel caro figlio ella piagato ha il core. (A parte)
 ARGIA
 Sì, Epitide a te figlio, a te sovrano (A Merope e poi a Polifonte)
 è la face onde avvampo.
 Non v’è re, non v’è nume
 sopra la libertà del voler mio.
375Dillo amor, dillo orgoglio.
 Sono Argia. Son regina. Amo chi voglio.
 
    Arder voglio a quella face
 che mi strugge e che mi piace;
 e a mio gusto, a mio talento
380amar posso e disamar.
 
    Su quel libero volere
 che ne l’alme il cielo imprime,
 il destin non ha potere
 che lo sforzi a non amar.
 
 SCENA XI
 
 MEROPE e POLIFONTE
 
 POLIFONTE
385Del cor d’Argia resti la cura a’ numi.
 Del tuo, bella regina,
 ragion ti chiedo. Ei per tua legge è mio,
 regno de la tua fede a me giurata,
 prezzo di mia costanza a te serbata.
 MEROPE
390Polifonte, a tuo merto
 tu ascrivi un lungo e sofferente amore,
 tal nol cred’io. Chi può soffrir due lustri
 che un lontano imeneo giunga e maturi,
 o nulla il brama o poco.
 POLIFONTE
395Tutto può tolerar cor che ben ama.
 MEROPE
 E se ben ama il tuo, due lustri ancora
 soffra d’indugio e poi sarò tua sposa.
 POLIFONTE
 Che due ne soffra ancora?
 MEROPE
                                                  E avrai più merto.
 POLIFONTE
 No, già son corsi i due. Tu gli hai prescritti.
400La legge è ferma. Il giuramento è dato.
 Né più negar né diferir più lice
 a te per esser giusta e a me felice.
 MEROPE
 Polifonte, ti parli
 Merope più sincera.
405T’odio quant’odiar puossi
 un carnefice, un mostro, un parricida.
 POLIFONTE
 Merope, odiarmi tanto?
 De l’amor mio tanto abusarti? E tanto
 de la mia sofferenza? E in che t’offesi?
 MEROPE
410In che, mi chiedi? Il dica
 il rimorso al tuo core;
 e se pur giunto sei ne le tue colpe
 a non sentir rimorso,
 empio, tel dica il sangue
415de’ miei figli svenati,
 del mio sposo tradito.
 POLIFONTE
 Sì tradito, e da chi? Già m’arrossisco
 rinfacciarti una colpa
 che d’obbrobrio fatal sparge il tuo nome;
420ma il perfido Anassandro era tuo servo.
 MEROPE
 Dillo ministro infame
 de’ tuoi consigli e di quel cieco orgoglio
 che ti spinse a salir sul non tuo soglio.
 POLIFONTE
 T’intendo pur, t’intendo.
425Polifonte qui regna; e perché regna,
 con odio e con orror Merope il fugge.
 MEROPE
 Non t’odio perché re. Mal mi conosci.
 Più giusto è l’odio mio. Basta. Ancor vive
 l’empio Anassandro. Ancor mi resta un figlio.
430Per me ancora v’è un Giove.
 POLIFONTE
 Ed al tuo Giove in faccia,
 al talamo verrai.
 MEROPE
                                 Dimmi al sepolcro
 e verrò più tranquilla.
 POLIFONTE
 No no. De l’odio tuo sien la gran pena
435gli sponsali giurati.
 Strascinata a l’altar verrai costretta,
 più che dal mio comando,
 dal sacro tuo solenne giuramento.
 MEROPE
 (O giuramento! O Merope infelice!)
440Orsù, verrò, tiranno;
 ma senti qual verrò, senti qual devi
 attendermi consorte.
 Non il sacro imeneo, non la pudica
 Giuno né i casti coniugali numi
445uniranno a quell’ara i nostri cori.
 Voi tremende d’abisso
 implacabili furie e tu, funesta
 sanguinosa Discordia,
 odio, morte, terror, tutti v’invoco
450pronubi a le mie nozze. Ardan per voi
 sul letto profanato
 le sacrileghe faci;
 e voi di fiori invece
 spargetelo di serpi e di ceraste,
455sinché pallido, esangue e tronco busto
 quel tiranno crudel per me si scerna
 dormir l’ultimo sonno in notte eterna.
 
    D’ira e di ferro armata,
 nemica e dispietata
460al regio talamo
 ti seguirò.
 
    L’odio, l’orror, lo scempio
 saranno i primi vezzi
 con cui l’iniquo ed empio
465mio sposo incontrerò.
 
 SCENA XII
 
 POLIFONTE e poi ANASSANDRO
 
 POLIFONTE
 Lasciatemi, o custodi, (Le guardie partono)
 perdasi ogni misura
 con chi perde ogni legge e si prevenga
 un insano furor. L’uscio è già chiuso. (Chiude l’uscio al di dentro)
470Ora ben t’avvedrai, femmina ingrata, (Presa una chiave, apre una porticella segreta)
 quanto possa un’offesa in cor reale.
 Olà, Anassandro. Epitide già estinto, (Affacciandosi all’uscio)
 Merope ancor si estingua.
 Anassandro.
 ANASSANDRO
                          La voce (Esce Anassandro dal gabinetto)
475del mio signor pur giunge
 a ferirmi l’udito.
 POLIFONTE
                                  E a trarti insieme
 da quel muto soggiorno
 a le braccia reali e al chiaro giorno. (Lo abbraccia)
 ANASSANDRO
 A quale alto tuo cenno ubbidir deggio?
480Tutto mi fia men grave
 di quest’ozio profondo, in cui sepolto
 tra rimorso e timor peno e sospiro.
 POLIFONTE
 Non è pena men fiera a Polifonte
 dover finger pietade, usar clemenza,
485quando il genio feroce
 non conosce altri dei che il suo potere
 e non ha per ragion che il suo volere.
 ANASSANDRO
 Con quest’arte tu regni.
 POLIFONTE
                                              Ed ecco il tempo
 ch’io ti chiami a goderne.
490Basta che tu vi assenta e che tu dia,
 fedele amico, il compimento a l’opra.
 ANASSANDRO
 Eccomi. Vuoi ch’io torni
 ne la reggia di Etolia e colà sveni,
 anche in braccio a Tideo,
495il mal guardato Epitide? Son pronto.
 POLIFONTE
 Morì già l’infelice e senza nostra
 colpa morì. Ciò che al tuo zelo io chiedo
 è più facile impresa. Esci in Itome.
 Soffri che tra catene
500ti rivegga Messenia.
 De la morte de’ figli e del marito
 accusa la regina; e attendi poi
 da la mano real di Polifonte
 e grandezze e tesori. Ancor del trono
505vieni a parte, se vuoi. Tutto è tuo dono.
 ANASSANDRO
 La regina accusar?
 POLIFONTE
                                     Sì. Qual rimorso?
 ANASSANDRO
 Quello che più risente un’alma ingrata.
 POLIFONTE
 In Merope riguarda
 la nemica comun.
 ANASSANDRO
                                   Ravviso in essa
510anche la mia regina.
 POLIFONTE
 Se n’hai pietà, la nostra morte è certa.
 ANASSANDRO
 E se l’accuso, io sono
 de’ viventi il più indegno e ’l più perverso.
 POLIFONTE
 Dopo il commesso parricidio enorme,
515la colpa ti spaventa? Il tardo orrore...
 ANASSANDRO
 Mio re, non più. Si serva
 a la nostra salvezza e a la tua sorte.
 Merope accuserò.
 POLIFONTE
                                   Caro Anassandro,
 de la grandezza mia fido sostegno,
520per te dir posso: «È mio lo scettro e ’l regno».
 
    Penso e non ho mercede
 né degna di tua fede
 né pari al mio voler.
 
    Se in me trovi ingrato il core,
525nol dir colpa de l’amore
 ma difetto del poter.
 
 SCENA XIII
 
 ANASSANDRO
 
 ANASSANDRO
 Non si cerchi, Anassandro, altro consiglio.
 In un pelago siamo, onde n’è forza
 uscirne o naufragar. Fatta è la colpa
530necessità per noi. Nei primi eccessi
 anche gli ultimi a farsi abbiam commessi.
 
    Partite dal mio sen, reliquie estreme
 d’onore e d’innocenza e di pietà.
 
    Non si turba, non geme, non teme
535chi del fallo rimorso non ha.
 
 Fine dell’atto primo